I nani

“Ragazzo! Ragazzo, vieni qui!”.

Il garzone accorse immediatamente.

“Eccomi. Ditemi”.

Il vecchio lo fissò intensamente, lisciandosi la barba bianca con la mano rugosa.

“E’ stato qui il signor Philippe. Mi ha chiesto di realizzargli un’opera. Una scultura lignea. Liberamente, secondo la mia ispirazione”.

“Maestro, è meraviglioso. Cosa pensate di fargli?”.

“Nulla”, rispose il vecchio, “gli ho detto che non ho tempo per dedicarmi all’arte. Ho dei mobili da finire, per non parlare dell’armadio della sagrestia. È troppo tempo che ci sto lavorando. Gli ho detto allora ‘Signore, lasciate che vi realizzi qualcosa il ragazzo. È giovane e quindi pieno di fantasia. Veglierò personalmente sulla realizzazione’”.

Il volto del garzone si illuminò.

Lo sguardo del falegname si fece ancora più duro e riprese:

“Il signor Philippe mi ha risposto di tutto punto ‘mio buon amico, se il ragazzo ha appreso anche solo la metà della vostra arte, non posso che essere felice. Avrò un’opera prima’”.

“Ma… quindi potrò?”.

Il giovane fino a quel momento aveva assistito il vecchio artigiano sgrossandogli i pezzi di legno e solo ultimamente aveva cominciato a ripassare qualche finitura.

Un’opera tutta sua, per il signor Philippe poi, il commerciante più ricco del villaggio, era un sogno che andava oltre ogni sua fantasia.

“Farai tutto da solo”, proseguì il vecchio, “comincerai procurandoti la legna. Io vigilerò sui tuoi progressi. Ti permetterò di usare tutti i miei attrezzi. Bada bene però a non far figure”.

E se ne tornò alla cassapanca che stava intagliando.

Il ragazzo era entusiasta.

Un lavoro tutto suo, un’opera poi, un’opera d’arte.

Era un sogno, un sogno che stava divenendo realtà.

Ma cosa fare?

La testa cominciò a riempirsi di idee, progetti, intuizioni.

Doveva però procurarsi anche la legna.

Non stava più nella pelle.

Si tolse gli zoccoli in legno e si infilò gli scarponi.

“Dove vai?”, chiese il vecchio.

“Vado a prendere la legna per il lavoro del signor Philippe”, rispose il ragazzo mentre metteva l’ascia nel sacco.

Il vecchio grugnì.

Sul ripido sentiero fangoso che saliva per la montagna il garzone continuava a pensare a mille e più sculture che avrebbe potuto realizzare.

Che albero scegliere poi?

Su questo non aveva dubbi: una betulla sarebbe stata magnifica.

Si diresse verso nord dove si trovavano i boschi di betulle, finché non cominciò ad intravederne i rossi cespugli.

Le betulle lo affascinavano.

Erano arbusti che nascevano rossi, come fossero ancora sporchi di sangue dopo essere stati partoriti dalla terra.

Poi la corteccia andava a formarsi e lentamente sbiancavano fino a divenire immacolati.

Il ragazzo vide ad un tratto un albero abbattuto dalla tempesta dei giorno precedenti.

Qualche colpo d’ascia e mise nel sacco alcuni pezzi di legno.

Tutto soddisfatto si riavviò verso la bottega.

Una volta giuntovi, mise i legni ad asciugare e rientrò a riprendere il suo lavoro.

Passate un paio di settimane recuperò i suoi legni.

Erano asciutti e pronti per essere lavorati.

Cominciò immediatamente ad intagliarli grossolanamente.

Aveva deciso di realizzare una grande porta-pipa da esposizione.

Sapeva che il signor Philippe amava fumare ed una pipa scolpita nella betulla sarebbe certamente stata di suo gradimento.

Il legno da intagliare è sempre duro, si batte col martello, si batte, si batte e sembra che non venga via nulla, poi, basta un colpo più deciso e salta via più del necessario.

Il problema con la pipa sarebbe stato realizzare il camino, ma ci avrebbe pensato sul momento.

“Ragazzo!”, gridò il falegname, “devi finire di preparare le tavole per la credenza del curato. Sbrigati, sono tre giorni che te lo dico. Dobbiamo consegnare tra tre settimane”.

Per due giorni il ragazzo non lavorò alla sua opera.

Quando la riprese in mano decise di intagliare ulteriormente il legno per ottenere una silhouette più fine.

Qualche colpetto ed il legno veniva via come niente.

“Che fortuna”, pensò, “si riesce a lavorare molto meglio. Devo aver tolto la parte più dura. Ora sarà un gioco da ragazzi”.

Guardò soddisfatto quanto fatto.

“Bene, molto bene. Proprio come la immaginavo. Peccato solo per questi piccoli buchini.

Continuò a scalpellare per un’ora quando all’improvviso notò qualcosa di strano.

Avvicinò il pezzo si legno al viso e strinse gli occhi per mettere meglio a fuoco.

“Ma cosa?”, disse ad alta voce, “no!”.

Un paio di formiche si trovavano sul legno.

Le soffiò via.

Poi osservò ancora.

Ne comparve un’altra.

Poi un’altra ancora.

“Ma da dove sbucano dannazione”.

Il ragazzo le soffiò via nuovamente ed ecco, l’illuminazione.

Andò a prendere la lente del vecchio e si mise ad osservare il legno.

Si soffermò sui minuscoli buchi che aveva notato poc’anzi.

Non poteva credere ai suoi occhi.

Gallerie.

Gallerie scavate nel legno.

Vide uscire altre formiche, ma in quel momento non provava più l’irritazione di poco prima.

Era, in un certo qual modo, affascinato.

Quei minuscoli esserini avevano realizzato delle gallerie in un ramo.

Quante potevano essere e quante formiche potevano ospitare?

E se tutte quelle si trovavano in un solo pezzo di ramo, chissà quante altre potevano essercene in un albero intero.

Quanti metri di tunnel o forse anche più?

Gallerie scavate morso dopo morso fin dentro il ventre del legno.

“Nani”, sussurrò il garzone, “i vecchi dicono che gli scoiattoli sono gli ultimi folletti. Nelle formiche forse alberga lo spirito dei nani”.

Meditò poi stupito sul fatto che in un pezzo di legno morto da tempo potesse ancora albergare così tanta vita”.

“Che stai combinando?”.

Il ragazzo sussultò.

“Ecco… il ramo… formiche”.

Il vecchio prese in mano il legno.

“Pieno di formiche. Bravo. Tutto da rifare. È pieno di buchi. Testone, non hai imparato nulla né? Andare a fare legna dopo la pioggia. Gli insetti cercano riparo e il legno è più morbido da mordere, così lavorano meglio”.

“E’ un lavoro incredibile”, sfuggì al garzone, che abbassò lo sguardo arrossendo.

“Vero”, ammise il vecchio.

Poi guardò il ragazzo.

“Sei tonto ma, per compensare, hai l’animo di un poeta. Prendi uno dei miei legni. Usa uno di quelli per il tuo lavoro. Vedi di muoverti che non puoi fare aspettare il tuo committente per degli anni”.

“Sì maestro”.

“E poi, andrai a prendere altra legna al posto che di quella che ti ho prestato”.

“Sì”.

“Prima però finisci il tuo lavoro. Stava venendo bene quella pipa. Una bella idea”, disse il falegname con un leggero sorriso sotto la folta barba.

Il garzone si illuminò e di corsa andò a recuperare un ciocco di radica.