Patate che raschiano

Sono solo le radici, dicevano.

Certo, ma le radici non hanno occhi.

Ricordo esattamente quando tutto ebbe inizio.

O, perlomeno, quando l’incubo bussò alla mia porta, il vero inizio probabilmente risaliva a qualche milione di anni prima.

In ogni caso, l’incubo raschiò nella mia vita quando avevo sette anni.

Una notte mi alzai perché avevo sete.

Andai in cucina e presi una sedia per raggiungere il succo di mandarino sulla mensola sopra il microonde.

Io preferivo il succo ai mirtilli, ma mia mamma ripeteva sempre che quello al mandarino era più salutare.

In ogni caso, salii sulla sedia e, mentre stavo prendendo il succo, sentii raschiare dal mobiletto in basso, che la mamma usava come dispensa.

Mi fermai ed ascoltai con maggiore attenzione.

Niente.

Scesi piano dalla sedia, la misi a posto e mi allontanai un poco.

Rimasi in silenzio.

Dopo qualche istante, ecco di nuovo quel rumore.

Spensi la luce e corsi in cameretta a prendere la torcia che i miei genitori mi avevano regalato l’estate precedente per la mia prima notte in campeggio.

Tornai silenziosamente in cucina.

Ad intervalli regolari si sentiva raschiare.

Ero certo si trattasse di un topolino e volevo vederlo.

Lentamente mi avvicinai al mobiletto.

Attesi di sentire nuovamente quel suono dopodiché puntai la torcia ed aprii di scatto l’antina.

Cacciai un urlo e la richiusi.

Corsi in camera dei miei.


“Luca, Luca che succede?”, chiese mia mamma ancora mezza addormentata.

“Sentivo un rumore in cucina, sono andato a vedere, ho aperto la dispensina e c’erano tantissimi occhi ad osservarmi. Appena mi hanno visto si sono richiusi. Ho paura, mamma, ho paura, va a vedere”.

Mio padre sbuffò e si girò dall’altra parte.

“Luca, hai fatto solo un brutto sogno, va a dormire.”

“Mamma, no, volevo il succo e ho sentito raschiare. Pensavo fosse un topolino, ma erano tantissimi”.

Mi madre esasperata mi seguì in cucina.

Le dissi di fare attenzione mentre stava per aprire la dispensa.

Io ero rimasto indietro, e la osservavo da dietro il tavolo.

“Oh, ecco qua”, disse mia madre, “ecco il tuo topo”.

E mi mostrò cos’aveva in mano.

“Ma non è un topo”, dissi, “guarda meglio”.

“Non c’è altro, è vuota. Sono due giorni che dico a tuo padre che dobbiamo andare a fare la spesa”.

“Cos’è? È quello che ha gli occhi?”.

“Luca, è una patata”.

“Ma quei cosi?”.

“Sta germogliando, sono solo le radici penso. È normale. Mi dev’essere caduta dal sacchetto senza che me ne accorgessi ed ha cominciato a germogliare”.

“Ma ho visto degli occhi”.

“Sarà stato un riflesso. Eri ancora mezzo addormentato e ti è sembrato di vedere degli occhi. Ma non ha occhi, vedi? Basta, non ci pensare”.

Non ci pensare.

Io non ci pensai, ma non pensare non è una soluzione.

I pensieri, come gli oggetti, vanno organizzati e sistemati.

Tutti pensano all’inconscio come qualcosa che sta giù, nel profondo, una cavità nella quale si annidano i pensieri.

Io credo invece che sia il contrario e stia in alto, come una soffitta.

La testa è in alto, come le soffitte, ed è lì che si ripongono le cose che non si usano.

E quando si portano le cose in soffitta bisogna sistemarle, organizzarle, classificarle, per sapere cosa sono e dove si trovano.

Se mia madre mi avesse detto: “è stato solamente un incubo perché…” e mi avesse anche dimostrato che quanto avevo visto era solamente il frutto della mia immaginazione, io avrei etichettato quell’episodio come incubo e lo avrei sistemato in soffitta nella sezione incubi.

Invece mi aveva detto solamente “non ci pensare”.

Io non ci pensai, ma quello equivalse a appoggiare il pensiero, come se, salito in soffitta, lo avessi abbandonato da qualche parte e me ne fossi andato senza curarmene.

Ma quando le cose non si sistemano, prima o poi ce le si ritrova tra i piedi.

Io me lo ritrovai tra i piedi una volta che ero al supermercato.

Mi ero da poco trasferito a vivere da solo e stavo facendo la spesa quando la mia attenzione fu attratta dal sacco di patate che avevo appena messo nel carrello.

Inciampai nel pensiero che avevo lasciato in giro quando vidi i germogli su una patata.

Nella mente risentii il raschiare dalla dispensa a fianco del forno e gli occhi che mi fissavano dal buio.

Ebbi un momento di… sì oso definirlo panico, che, col senno di poi, era totalmente giustificato.

Feci una foto con lo smartphone alla patata e poi lasciai giù il sacco e segnalai la cosa ad un commesso.

“Sì, è normale, dopo un po’ germogliano, basta staccarli, non succede niente”.

Tornai a casa imbarazzato per la risposta del commesso.

Eppure non potevo fare a meno di sentirmi un poco turbato.

Il pensiero di quelle forme che uscivano dalla patata aveva ormai invaso la mia mente.

Andai al computer e scaricai la foto che avevo fatto al supermercato.

C’era qualcosa che non andava in quelle escrescenze.

Quella forma era sbagliata.

Era… malvagia.

Se aveste letto queste righe solamente un anno fa mi avreste preso sicuramente per pazzo, motivo per quale ho deciso di attendere a buttar giù questo scritto.

Eppure fin da subito avevo compreso che qualcosa non andava.

Fin dall’età di sette anni, quando avevo scoperto dell’esistenza di quelle deformità, anche se ancora non avevo compreso l’entità di quegli abomini.

Andai su internet a cercare informazioni su quei germogli.

Spulciai diversi siti ove spiegavano come, in determinate condizioni di umidità, calore e luminosità, le patate potessero germogliare sviluppando sulla superficie i caratteristici occhi bianchi.

Ed ecco nuovamente gli occhi.

Eppure era solo una definizione, un modo che doveva risultare simpatico per descrivere quelle oscenità.

Andai avanti a leggere e scoprii che quei germogli erano ricchi di solanina, una sostanza tossica che funziona come pesticida naturale contro funghi, batteri e insetti.

Se assunta in elevati quantitativi può avere effetti anche sull’uomo, effetti che, in funzione della quantità, possono variare da un blando stato di nausea fino a provocare emorragie.

Continuai a scorrere le pagine e gli articoli, da siti obiettivamente più o meno discutibili, fino a quando notai il titolo di un articolo nelle ultime pagine del motore di ricerca che mi fece rabbrividire.

Patate che raschiano.

Rimasi interdetto per qualche istante.

Rilessi, ma quelle due parole mi rimandavano prepotentemente indietro a quella notte di ventitré anni prima.

Patata.

Raschiare.

Entrai nel sito e lessi l’articolo.

Di fatto, l’autore descriveva un’esperienza esattamente identica alla mia: le sue notti erano disturbate da un raschiare proveniente dalla dispensa.

Inizialmente anche lui aveva pensato ai topi.

Tolse praticamente tutto dalla dispensa, poi gli venne un’intuizione: lasciarvi solamente una patata, una sacrificabile, con già i germogli, con dentro del veleno per topi.

Se il topo l’avesse mangiata in breve sarebbe morto.

Attese per tre notti.

La prima sentì raschiare, ma il mattino dopo la patata era intatta.

La seconda sentì raschiare, ma il mattino dopo la patata era intatta.

La terza… sentì raschiare.

Qualcosa non andava, il topo entrava, non si sa da dove, dentro un mobiletto, non mangiava e continuava a raschiare.

Decise di controllare di persona.

Prese una torcia ed aprì il mobiletto.

All’interno vi era solamente la patata.

Nient’altro.

Nessun segno di roditori, ma questo ormai l’aveva capito.

Un’idea folle si fece strada nella sua mente.

Convinto di agire come un pazzo si decise comunque a mettere in atto un esperimento al fine di togliersi completamente il pensiero.

Prese la patata germogliata e la mise in un mobiletto in soggiorno, sopra la televisione.

Liberò il mobiletto da quanto vi era riposto e vi mise all’interno la sola patata.

Per precauzione sigillò l’anta con dello scotch per impedire che, non sapeva neppure come, un roditore potesse infilarsi dentro con qualche strano acrobatismo.

La notte trascorse senza alcun rumore.

Più sereno, capì che forse era veramente un topo l’autore del mistero.

Andò al lavoro più tranquillo, la sera uscì con degli amici e rientrò a casa molto più tardi del solito.

Chiusa la porta di casa, stava per andare in camera a dormire quando sentì nuovamente raschiare.

Ed il rumore proveniva dal mobiletto sopra la televisione.

Non poteva essere vero.

Tremante, si avvicinò ed appoggiò l’orecchio all’anta chiusa.

Silenzio.

Rimase fermo in attesa per qualche minuto fin quando ecco riprendere il raschiare.

Accese la luce, tolse lo scotch, aprì l’anta ed ecco… la patata era lì.

L’autore si era fermato ed aveva scritto quell’articolo senza poi approfondire la cosa.

Gli era bastato un articolo simpatico sulle patate che grattano, dopodiché era tornato a parlare di videogiochi e simili.

Quell’articolo tuttavia aveva acceso in me il desiderio di scoprire qualcosa di più.

Iniziai così anch’io una serie di esperimenti.

Misi una patata germogliata in un mobiletto vuoto e lo sigillai come aveva fatto il tizio dell’articolo.

La notte rimasi alzato, ma nulla.

La seconda notte invece, intorno alle due, il raschiare.

Aprii il mobiletto, ed ecco la patata.

Nei giorni seguenti feci la stessa cosa con una patata normale, ma, di notte, non accadde nulla.

Rimisi una patata germogliata ed ecco che, regolarmente, la seconda notte cominciò nuovamente a raschiare.

Annotavo le mie osservazioni su un quadernetto ed ormai avevo capito che era tutto legato ai germogli.

Da questo punto di vista ero metodico: amo, o meglio, amavo correre, quando ancora si poteva correre liberamente, ed organizzavo i miei allenamenti registrando tutto su dei quadernetti.

Misi in atto un altro esperimento: presi una patata normale e la lasciai in un mobiletto.

Dopo una settimana, sentii il caratteristico suono.

Aprii il mobiletto ed ecco i germogli.

Quella faccenda cominciava ad avere un influsso negativo su di me.

Ovviamente dormivo male, ero sempre in tensione, pronto a scattare al minimo rumore.

Al lavoro (ero un commesso in un negozio di articoli sportivi) ero sempre più stanco, ma fortunatamente potevo gestire la cosa, attribuendo la stanchezza ad un periodo di allenamento particolarmente intenso.

Non potevo parlarne con nessuno perché, naturalmente, mi avrebbero preso per pazzo.

Un giorno stavo sistemando su uno scaffale dei barattoli di integratori quando me ne cadde uno in polvere che si aprì sul pavimento.

Stavo per andare a prendere una scopa quando un bambino che stava provando una bicicletta passò sopra la polvere e lasciò la scia delle ruote per qualche metro lungo la corsia.

Mi venne un’idea.

Acquistai in internet una di quelle polveri che diventano fluorescenti se illuminate con gli UV.

La distribuii con un pennello sui germogli della patata che misi poi nel solito mobiletto, subito davanti all’anta, in questo modo la polvere non poteva andare accidentalmente in giro mentre introducevo la patata.

Sigillai il mobiletto e non lo aprii per una settimana.

Una notte tolsi la patata e illuminai il vano del mobiletto con la luce UV.

Sebbene in qualche modo me lo aspettassi, quello che vidi minò ugualmente una delle mie più profonde certezze.

Le scie fluorescenti solcavano tutto il piano ed alcune si alzavano per pochi centimetri sulle pareti.

Le patate possono muoversi.

Per qualche giorno non feci più nulla, poi mi decisi ad attuare un un altro esperimento.

Feci un quadrato di scotch di carta in centro al mobiletto e vi misi in mezzo la patata marchiata con la polvere fluorescente.

Qualche giorno dopo vidi le tracce del movimento della patata, che era tornata esattamente al centro del quadrato.

Nelle settimane seguenti ripetei l’esperimento, ma mettendo la patata in punti diversi del mobiletto.

Ogni volta la patata tornava esattamente in centro al quadrato, magari leggermente spostata, ma pur sempre in mezzo al quadrato di partenza.

Ciò significava che le patate hanno anche una memoria.

Mi decisi a scrivere ad un professore di botanica dell’università.

Feci anche dei video dei miei esperimenti e glieli inviai.

Risultato: nessuna risposta.

Provai con altri professori, ma nulla, solo un paio mi risposero, ma in malo modo.

Ora ovviamente si sono tutti ricreduti, ma ormai è troppo tardi.

Non abbiamo ancora capito se i germogli sono di questo pianeta o se sono arrivati dallo spazio milioni di anni fa e come parassiti si sono insediati nelle patate.

Quello che sappiamo è che senza patate non possono sopravvivere.

Necessitano infatti di un corpo solido per potersi muovere, così come i nostri muscoli necessitano del supporto duro delle ossa per poter lavorare.

Gli scienziati hanno cominciato a studiarli dopo che ci hanno attaccati.

È stato all’improvviso, come se tutte le patate del pianeta si fossero coordinate.

Alle dieci e trenta del mattino del 5 Marzo di quattro mesi fa le patate hanno rilasciato contemporaneamente solanina in forma gassosa ed in quantitativi mai visti prima, provocando nausea, mal di testa, e, in alcuni casi, la morte per intossicazione delle persone che si trovavano in prossimità dei reparti ortaggi.

Avevano scelto il sabato mattina perché avevano capito che in Europa in quella fascia oraria i supermercati erano pieni ed il loro attacco sarebbe stato più efficace.

Dopo questo primo atto hanno lasciato i supermercati e le abitazioni e la guerra ha avuto inizio.

Gli scienziati hanno poi determinato che alcuni germogli sono specializzati come artigli e sono quelli utilizzati per il movimento, altri invece sono gli occhi.

Ora devo smettere di scrivere, tra poco con la mia squadra entreremo in azione.

Sono a capo di una compagnia di estirpatori.

C’è un po’ di tutto, impiegati di banca, operai, studenti, in totale il mio gruppo conta una ventina di uomini.

Ora stiamo per entrare in un vecchio supermercato dove si è rifugiato un gruppo di patate.

Inizialmente è stata dura perché ci hanno colti di sorpresa e il fatto del gas li aiutava a difendersi in quanto non potevamo avvicinarci troppo.

Ora però le forniture di maschere antigas sono migliorate ed abbiamo trovato anche delle armi per combatterli.

E, soprattutto, abbiamo smesso di piantare patate.

“Comandante”.

“Sì?”.

Lo ammetto, è sempre figo sentirsi chiamare comandante.

“Siamo pronti. Cinque minuti e possiamo fare irruzione”.

“Ottimo. Gli altri’?”.

“Eccoli qua pronti”.

“Benissimo. Signori, stiamo per dare un altro colpo a quei bastardi venuti da… qualche parte. Facciamogliela pagare. Datemi un paio di granate, entrerò io per primo”.

“Con quale salsa?”.

“Dammene un paio al ketchup, abbiamo visto che li stordiscono prima rispetto alla maionese. Ok, tutti pronti? Bene, tre, due uno… fottuti tuberi stiamo arrivando!!”.

H.P. Lovecraft (1934) – Fonte: Wikipedia