Birillo dei boschi

Birillo era un piccolo bastardino che abitava in un appartamento.

Piccolo perché era proprio piccolo, lungo, a voler essere generosi, una sessantina di centimetri.

Bastardino, perché, di fatto, il suo patrimonio genetico era talmente annacquato che le tracce del ceppo originario erano andate smarrite da generazioni.

Incroci su incroci, pure il proprietario del negozio di animali non riusciva ricostruirne la genealogia.

“C’è un po’ di questo, un po’ di quello. Il suo trisavolo è stato incrociato con l’incrocio tra un incrocio di un incrocio con… insomma, è un cagnetto da appartamento. Quello che volete, no?”.

Quando i suoi nuovi padroni lo portarono a casa, Birillo era euforico.

Il proprietario del negozio di animali era garbato e lo trattava bene, ma non gli aveva mai dato del vero affetto e lo faceva uscire dalla gabbietta giusto per fare pipì e per sgranchirsi le zampe.

Ora invece, nella sua nuova casa, un appartamento in un complesso residenziale, finalmente poteva avere una famiglia e tanto spazio ove correre e giocare.

Gli avevano addirittura regalato un collare con una targhetta riportante il suo nome ed un numero di telefono.

In caso di smarrimento, restituire a Famiglia —.

I padroncini gli volevano bene, giocavano con lui e lo portavano tutti i sabati al parchetto a correre nell’area cani.

Tempo dopo, tuttavia, le cose cominciarono a cambiare.

Un sabato mattina i padroncini non si volevano decidere ad uscire dalla loro cameretta.

Il motivo era che non volevano portarlo al parco perché dovevano vedersi con degli amici.

Il padre li rimproverò perché si erano presi un impegno: avevano voluto il cane e adesso dovevano stargli dietro.

Birillo era impaziente.

Finalmente, dopo una settimana, avrebbe potuto nuovamente correre, cosa che in casa, a onor del vero, non gli era mai concesso, pena un calcio sul didietro.

Quando vide uscire, anche se imbronciati, i padroncini, si mise ad abbaiare tutto contento.

“Zitto! Birillo, zitto!”, lo rimproverò il padrone.

I padroncini lo portarono di malavoglia al parchetto dove trovò gli altri cani, coi quali però non aveva un buon rapporto, anzi non l’aveva affatto, più che altro perché quelli lo evitavano.

Ed il motivo era abbastanza chiaro.

“Quelli sì che sono dei cani”, disse uno dei padroncini al fratello, “mica come questo sgorbio. Perché papà non ci ha preso un cane lupo?”.

“Costava troppo. E gli altri, anche se più piccoli, hanno il pedigree e costano una cifra. Birillo era quello che veniva via a meno”.

Birillo osservava gli altri cani, che invece non lo degnavano di uno sguardo.

Col tempo ci aveva fatto l’abitudine, così come si era abituato a non abbaiare in casa, a non correre, a non giocare, a non saltare.

Birillo si stava lentamente spegnendo.

Finché un giorno, al parchetto, sentì gli altri cani confabulare tra loro con un tono piuttosto preoccupato.

Anche i cani lupo erano irrequieti, cosa assolutamente insolita.

Quella situazione gli parve sospetta, al che decise di avvicinarsi un poco ed origliare la loro conversazione.

“E’ stato avvistato nei boschi qui vicino”.

“Ha sbranato delle pecore”.

“Speriamo se ne stia alla larga e non entri mai in paese”.

“E’ un lupo, non metterà mai zampa in paese”.

“Allora spero che i miei padroni non decidano mai di portarmi a passeggiare tra i boschi”.

Birillo si illuminò.

I boschi.

Fuori dal paese.

Si ricordò di quando, una domenica, i suoi padroni erano andati in gita e lo avevano portato con loro nei boschi.

Fu una giornata memorabile.

Aveva finalmente potuto correre libero, inseguire farfalle, rotolarsi nell’erba.

Era stato veramente felice quel giorno, di cui ormai serbava giusto un vago ricordo.

O forse no.

Birillo quel giorno tornò a casa più silenzioso del solito.

Era meditabondo.

Intorno a mezzanotte andò in salotto davanti alla finestra attraverso la quale vide la luna piena.

Abbaiò.

Si accese una luce e, dalla sua camera, giunse il padrone che gli intimò di non fare più rumore.

Per farsi capire gli diete uno schiaffetto sul muso.

Birillo tornò alla sua cesta.

Rimase sveglio… e si decise.

Il sabato seguente era nuovamente all’aria cani e, approfittando della distrazione di padroncini che fissavano il cellulare anziché quello che era stato il loro compagno di giochi, uscì dal recinto e corse via.

Attraversò diverse vie, uscì dal paese, prese un sentiero e salì in collina.

Quella notte fu per lui una delle più spaventose.

Era buio, vi erano rumori che non aveva mai udito, faceva freddo e… gli sembrava sempre di vedere degli occhi che lo fissavano dall’oscurità.

Non dormì tutta notte e così fece anche per quella seguente.

Aveva fame e non sapeva cosa fare.

Forse, era il caso di tornare all’appartamento dove almeno aveva un pasto garantito.

Eppure, qualcosa lo tratteneva ancora in quel luogo per lui inospitale.

Il ricordo della gioia di quella domenica non era ancora scomparso ed il desiderio di poterla provare nuovamente era ancora più forte della paura.

Il terzo giorno, verso l’imbrunire, stava zampettando tra dei faggi quando d’un tratto si trovò una figura davanti.

Era un… sembrava un… cane.

Ma come cane, era decisamente strano.

Era grande ed era magro, ma non magro come Fiaschetto, il cagnetto che ronzava sempre fuori dal supermercato, che era deperito e cercava sempre di sgraffignare un boccone.

No, quel presunto cane era magro ma… era muscoloso.

Era strano poi perché, al contrario dei cani del parchetto che non lo degnavano di uno sguardo, questo lo fissava.

E lo fissava intensamente.

Un po’ troppo intensamente in effetti.

Ecco chi gli rammentava, assomigliata molto al cane lu… oh merda.

Birillo si pietrificò.

Non sapeva che fare.

Il mostro era a pochi metri da lui e continuava a fissarlo con interesse finché d’un tratto… si voltò e cominciò ad allontanarsi.

Birillo rimase di stucco.

Dapprima pensò di essere stato molto fortunato.

Poi però un sentimento totalmente diverso si impadronì di lui.

Era indignato.

Che neppure un altro emarginato come lui lo prendesse in considerazione… quello era troppo.

Senza neppure rendersene conto, si mise ad abbaiare contro il lupo.

Questi si voltò, lo osservò un poco, poi riprese la sua strada.

Birillo non demordette.

Preso da un improvviso coraggio, alimentato dal rancore, gli andò dietro continuando ad abbaiare.

Il lupo sì voltò e gli tirò una zampata su naso.

A Birillo fece male, non era abituato ad azzuffarsi, ma il rancore, ivi mischiato col dolore, divenne rabbia.

Si lanciò con maggiore foga contro il mostro.

Il lupo lo colpì nuovamente e gli ringhiò contro.

Quella fila di denti fecero vacillare nuovamente il piccolo bastardino.

Il lupo rimase ad osservarlo per qualche secondo poi riprese ad allontanarsi.

Birillo rimase solo.

Era confuso.

Era andato nei boschi per riprovare la gioia, ma ciò che aveva trovato era solamente un altro rifiuto.

Alzò lo sguardo e… il lupo era fermo ad osservarlo.

Si fissarono per un minuto, dopodiché il lupo riprese a zampettare per poi voltarsi nuovamente verso Birillo.

Il cagnetto era confuso.

Che fare?

Però poi pensò che, insomma, non aveva nulla da perdere, così cominciò a seguire il lupo.

Quella notte fece tempesta.

Tuoni, vento ed una gelida pioggia torrenziale.

Birillo era terrorizzato.

Aveva trovato rifugio sotto una radice, mentre il lupo se ne stava tranquillo sotto un grosso masso.

Perché non aveva paura?

Anche Birillo voleva non provare paura in quel momento, ma era più forte di lui.

Si fece coraggio e cercò di smettere di guaire, ma il tuono fu più forte della sua volontà e così riprese a piangere.

Ma, alla fine, anche quell’interminabile notte passò.

Il lupo di buon mattino riprese la marcia e Birillo cercò di tenere il suo passo.

Poco dopo si fermarono a magiare qualcosa. Erano delle bacche.

A Birillo non piacevano, non avevano un buon sapore come i suoi croccantini.

I suoi croccantini.

Tuttavia, nonostante il saporaccio, gli davano sufficiente energia per proseguire.

Stette dietro al lupo tutto il giorno, rimanendo sempre nel fitto del bosco.

Verso sera Birillo era esausto, non era abituato a zampettare così a lungo, ma non si fermò.

Raggiunsero un ruscello.

Birillo guardò dentro ad una pozza stagnante e vide il suo riflesso.

Non si riconosceva.

Il pelo era arruffato e sporco e crespo.

Gli occhi poi, avevano qualcosa di diverso.

Ripresero il cammino.

Dopo un paio d’ore Birilllo era veramente esausto.

Si fermarono sotto una grossa quercia.

Il lupo si allontanò, ma Birillo era troppo stanco per stargli dietro ancora e si addormentò.

Si destò quando il lupo lo scosse.

Aveva qualcosa tra i denti.

Era un… coniglio?

Glielo mise davanti invitandolo a mangiare.

Birillo lo guardò con occhi sbarrati.

Mangiare un coniglio? Non ne se parlava proprio.

Il lupo prese ad addentarlo e a mangiare di gusto.

Birillo lo osservava disgustato, ma aveva anche moltissima fame ed era stanco di mangiare bacche.

Si avvicinò timidamente al coniglio.

Il lupo si allontanò un poco per lasciare spazio al cagnolino.

Birillo strappò un pezzetto di carne.

Il sapore era disgustoso, ferroso.

No, non era decisamente come i suoi croccantini.

Il lupo lo osservò mangiare ancora qualche pezzetto, poi spazzolò il resto.

Il giorno dopo ripresero la marcia.

Il lupo si muoveva di continuo, non poteva stare fermo troppo a lungo nello stesso luogo.

Birillo era stanco, voleva riposare un poco, ma il lupo fu inamovibile, dovevano continuare a spostarsi.

Birillo si fermò ed abbaiò.

Il lupo si voltò a scrutarlo.

Birillo abbaiò ancora la sua fatica e la sua stanchezza.

Il lupo riprese la marcia.

Birillo abbaiò ancora più forte.

Il lupo corse indietro, raggiunse Birillo e lo azzannò al collo.

Birillo abbaiò di dolore.

Il lupo cominciò a strattonarlo di qua e di là, con sempre maggiore veemenza finché Birillo non venne scagliato indietro.

Rimase a terra, piangendo, non capiva.

Era solo stanco, cosa voleva il lupo?

Era un cagnetto da appartamento lui, tutti quelli sforzi per stargli dietro e quella era la ricompensa?

Ad un tratto sentì qualcosa sul collo.

Qualcosa di… umido.

Aprì gli occhi e vide che il lupo gli stava leccando accuratamente la ferita.

Dopo averlo pulito per bene il lupo riprese la marcia.

Birillo lo osservò e, con lo sguardo basso, riprese ad andargli dietro.

Purtroppo in quel momento non vedeva molte altre alternative.

Zampettava lentamente finché, raggiunto il punto in cui era stato attaccato, vide qualcosa in terra.

Si avvicinò e lo annusò.

Era il suo collare.

Ed aveva chiaramente incisi i denti del lupo.

Quindi forse il lupo non ce l’aveva con lui, ma con il suo… collare.

La belva poco più avanti lo fissava.

Ripresero la marcia.

Passarono i giorni e Birillo continuò a seguire il suo compagno.

Un pomeriggio questi si mise a correre e Birillo tentò di tenere il passo.

Ad un tratto il lupo con un balzo superò un faggio abbattuto.

Birillo fece lo stesso, ottenendo il medesimo risultato.

Solo che dall’altra parte del faggio vi era arrivato passandovi sotto.

Nonostante avesse saltato.

Si rese conto che le sue zampette non erano adatte a quella vita.

Non gli permettevano di percorrere lunghi tratti rapidamente, non poteva cacciare una preda (era sempre il suo compagno che si occupava delle loro cene) e non poteva muoversi con agilità.

Ciononostante il lupo lo teneva sempre con sé.

Una notte Birillo si svegliò e non vide il suo compare.

Ne seguì l’odore fino ad una radura dove lo vide mentre fissava la luna piena.

Era bellissima ed enorme.

Il lupo cominciò ad ululare.

Birillo era incantato.

Era uno spettacolo arcano, incredibilmente potente.

Il lupo ululava, ululava, ululava e…

“Bau!”.

Il lupo si voltò verso Birillo, il quale abbassò il musetto, imbarazzato.

Il suo compare lo fissò per un istante, poi si spostò di lato per fare spazio al bastardino.

Birillo si trovò sotto la luna, come quella sera in casa, davanti alla finestra in salotto.

Cominciò ad abbaiare.

Era più un latrato, abbastanza fastidioso in effetti, ma finalmente poteva abbaiare.

Abbaiò ed abbaiò poi il lupo gli andò dietro con il suo ululato.

Vi era qualcosa di straordinariamente… ridicolo nel vedere un lupo ed un cagnolino rispettivamente ululare ed abbaiare alla luna.

Ma, andando oltre quella coltre di comicità, in quel momento vi era anche qualcosa di eccezionalmente forte, come se quei due animali, sotto la stessa luna, avessero ritrovato un antico legame.

Il giorno successivo il lupo fissò intensamente il piccolo Birillo.

Il bastardino capì che quello era un addio.

Le loro strade si erano divise migliaia di anni prima ed era inutile fingere che potessero proseguire insieme.

Eppure Birillo aveva ritrovato qualcosa.

Il lupo se ne andò e Birillo dovette scegliere.

Tornare al paese?

O che fare altrimenti?

Non poteva sopravvivere da solo nel bosco.

Non aveva intenzione di mangiare bacche a vita.

Ed anche il sapore di selvaggina, suvvia, non era proprio di suo gradimento.

Ormai, aveva compreso che qualcosa in lui si era perduto. Non aveva più l’istinto che invece guidava ancora il suo amico.

Tornò alla radura e lì rimase a meditare.

Qualche mese dopo il cane lupo era nel giardino di casa quando, una volta sorta la luna piena, sentì latrare dalla collina.

I peli gli si drizzarono e corse a nascondersi nella sua cuccia.

Il mattino seguente con gli altri cani disquisivano di quanto Birillo fosse sempre stato uno squilibrato.

Come poteva vivere nei boschi?

Proprio lui poi, così minuto ed indifeso.

Chissà cosa gli era capitato, ma di certo, era matto.

Birillo, dal canto suo, una soluzione l’aveva trovata.

Dall’altra parte della collina vi era una vecchia cascina ove abitava un’anziana signora ed una giovane coppia che stava ristrutturando una parte del casolare.

Avevano preso in simpatia quel cagnetto vagabondo ed ogni giorno gli facevano trovare una ciotola con dei croccantini.

E a loro stava bene così, soprattutto all’anziana signora, godere un poco della compagnia di un altro solitario.

Birillo aveva capito che non poteva vivere come il lupo, non ne aveva i mezzi.

Quello che poteva fare era trovare il suo modo per vivere quell’esperienza.

I cani al parchetto erano avvisati.

Attenzione a girovagare da soli per la collina, potreste imbattervi in Birillo dei boschi.

Il lupo, di Giulia Colombo