Il capolavoro

ssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssss

Il signor Luigi aprì gli occhi.

“Ma cosa… No, no, no no no no no, no! Ma che… cavolo!”.

“Luigi, abbassa la voce sveglierai Michele”.

Il signor Luigi non rispose alla moglie perché aveva un lavoro molto più urgente da fare.

Doveva finire di revisionare il suo scritto ed aveva precisamente… due minuti.

“No, no”, mormorò tra sé, “non ce la farò mai. Dannazione!”.

Il motivo di cotanta agitazione era il file word che aveva aperto sul portatile che aveva poggiato sulle ginocchia.

Conteneva un racconto che il signor Luigi, bibliotecario di professione, aveva scritto per una nota rivista di letteratura.

Aveva cominciato a scrivere qualche anno prima per dare forma alle storie che si inventava per sopperire alla noia che talvolta lo coglieva nei monotoni pomeriggi estivi in biblioteca.

La moglie lo aveva incitato ad inviare un racconto a qualche rivista, giusto per vedere se c’era sotto del talento e poteva darvi seguito in qualche modo.

Del talento in effetti c’era, tant’è che il direttore della tal nota rivista, gli aveva chiesto qualche altro racconto.

Soddisfatto del materiale, glie aveva infine chiesto uno scritto più lungo, una ventina di pagine, da inserire, se selezionato, in un’antologia dedicata agli scrittori emergenti.

Il signor Luigi si era molto impegnato ed era tutto sommato soddisfatto del risultato, nonostante ci avesse lavorato solamente nei ritagli di tempo.

Rientrando dalla biblioteca, infatti, trovava la famiglia ad attenderlo a casa: Martina da portare agli allenamenti, Luca al corso di chitarra e il piccolo Michele che…beh, era il piccolo Michele, di due anni. Voleva semplicemente giocare col suo papà.

Fino a tardi.

Molto tardi.

“’A Michelì”, ripeteva sempre il signor Luigi, “fammi stare tranquillo per un po’. Devo finire di scrivere il racconto. Il direttore è fissato con le consegne, non posso tardare”.

In effetti, il signor Rezzonico, il direttore della rivista, era svizzero nel cognome e nello spirito: se chiedeva una consegna entro mezzanotte, doveva essere entro mezzanotte, altrimenti il lavoro veniva cestinato direttamente, senza essere neppure letto.

E l’ora, soprattutto, era quella del suo orologio.

Di conseguenza, tutti i dipendenti ed i collaboratori avevano sincronizzato gli orologi dei propri dispositivi con quello del direttore, in modo da sapere esattamente il tempo che avevano a disposizione.

E il signor Luigi, come dicevamo, in quel preciso momento aveva esattamente due minuti per inviare la mail col suo scritto.

Il problema è che, come gli capitava ormai da qualche sera, si era addormentato mentre ci stava ancora lavorando.

Il problema nel problema era che, ahilui, quella sera si era addormentato con le mani sulla tastiera del portatile.

“Per favore fa che sia solo questo”, disse mentre cancellava le righe di “s”.

Cliccò sul tasto Anteprima e fece scorrere il documento.

“Oddio! No!”.

Il lavoro era un’ecatombe.

Evidentemente si era addormentato, non una, non due e neppure tre volte a considerare le quantità di righe costituite da singole lettere che costellavano le pagine del racconto, interrompendolo nei punti più inattesi, anche a metà di una parola.

Il Signor Luigi uscì dall’anteprima e fece scorrere rapidamente il documento.

La situazione era drammatica.

Era tutto un susseguirsi di righe di “A”, “Z”, spazi, pagine bianche dove probabilmente si era addormentato tenendo premuto il tasto a capo.

Guardò l’ora 23.59.

Non sarebbe mai riuscito a sistemarlo in tempo.

Rimase qualche istante immobile ad occhi chiusi, con le mani sulle tempie.

“Non ci sono alternative”, disse, “lo invio così. Domattina poi lo chiamo e gli dico che per sbaglio mentre ero in bagno mio figlio ha giocato col computer ed ha scritto sul racconto. E gli inoltro la versione corretta”.

Alle 23.59 e 50 secondi (ora del Direttore) il signor Luigi firmò la mail e premette il tasto invia.

Il mattino seguente era a casa in quanto la biblioteca avrebbe aperto il pomeriggio.

Si alzò tardi, alle nove, provato dalla nottata passata a sistemare l’intero testo.

Non fece tuttavia in tempo a prendere il caffè che il telefono squillò.

Era il direttore.

“Ossignore”, pensò,”già lui”.

“Buongiorno Direttore”, disse, “guardi, penso di sapere perché mi ha chiamato”.

“Come ha osato”, disse gelido il direttore.


“Guardi, mi rendo conto”, rispose il sig. Luigi, “posso spiegare”.

“Non mi interessa. Lei non ha idea della situazione”.

“Guardi, davvero, posso comprendere. io…”.

“Mandarmi un lavoro del genere. Così…”.

“Le stavo appunto dicendo…”.

“Lei non sa chi si è presentato questa mattina, così, su due piedi, nel mio ufficio quando ho aperto la sua mail”.

“No Direttore. Chi è…”.

“Nientepopodimeno che il Garlati”.

“Ah”, disse basito il signor Luigi, “nientepopodi…”.

“Uno dei nostri più grandi critici letterari. È entrato così, nel mio ufficio, perché voleva dare un occhio ai lavori dei nostri autori emergenti. Ed avevo aperto il suo lavoro”.

“Guardi, sono mortificato, verame…”.

“Vuol sapere cosa ha detto?”.

“Sinceramente, preferirei di n..”:

“Un genio. Assolutamente un genio”.

“Ma come un ge…”.

“E’ qualcosa di rivoluzionario – ha detto – trascende il metaletterario”.

“In che sens…”.

“C’è un qualcosa di Stevensoniano in tutto questo – ha detto – è dualistico. Ci sono Jekyll e Hyde.

L’artista e lo scrittore”.

“N-non capisco”.

“Quelle interruzioni – diceva – quelle pagine bianche. Quello è l’artista che dal profondo si fa sentire. Perché la sua arte è nel suo pensiero. L’averlo concepito, pensato, quello è il capolavoro. La scrittura è solamente un rozzo tentativo di dar forma al sublime”.


“Oddio, verament…”.

“In quelle pagine vien fuori l’artista che si ribella all’ignobile scribacchino”.

“Beh, non esageriamo. Ignobile scribacc…”.

“E’ l’artista che boicotta lo scrittore, perché vanifica e banalizza il suo pensiero – ha detto. Ed ha detto anche – questo lavoro è rivoluzionario. Dopo di questo… la letteratura non avrà più senso. Scrivere non avrò più senso. Lei è un genio – ha detto – e, citando Bloom, il genio è violento, il genio ammazza. E lei ha ucciso la letteratura.

La voglio domattina nel mio ufficio. Il Garlati vuole conoscerla di persona e vorrebbe curare una sua monografia. A domani”.

Il signor Luigi rimase immobile con telefono a mezz’aria.

Si ridestò per un gemito per piccolo Michele che stava gattonando verso di lui.

“Hai sentito Michelì? Papà… è un genio”.