Esercizi di stile

Ispirandosi ai famosi Esercizi di stile di Raymond Queneau, questa sera si propone la medesima storia scritta in due modi differenti.

La narrazione è di pura fantasia ed i riferimenti storici sono stati inseriti con l’unico scopo di servire la narrazione. Non v’è alcuna pretesa di veridicità, pertanto non me ne vogliano gli storici, di professione o dilettanti che siano.

I resti del pennuto

“Cosa vedi?”.

“Vedo… vedo…”.

Il veggente fissava intensamente il mucchietto di ossa che aveva dinanzi.

“Vedo… delle ossa”.

“Della ossa, sì, e cos’altro?”, lo incalzò il capo villaggio.

La fronte del veggente era imperlata di sudore, lo sguardo inequivocabilmente spaesato.

“Vedo delle ossa e…”, scosse leggermente il capo come per un tic, “altre ossa”.

“Vedi nient’altro?”.

“Ecco…”.

Il veggente chiuse gli occhi.

Respirò a fondo, cercando di calmarsi.

Tentò di pensare a qualcosa da dire, ma non gli veniva in mente nulla.

Lasciò correre liberamente i pensieri in cerca di ispirazione, ma questi tornavano sempre beffardi al giorno in cui tutto ebbe inizio.

Era seduto nella sala dei banchetti per dei festeggiamenti, non ricordava distintamente la ricorrenza, ma aveva bene in mente il peso che aveva sullo stomaco per tutto il mangiare e, sopratutto, il bere di quella giornata.

Ad un tratto avvertì un certo trambusto nella pancia.

“Ohi ohi”, gli scappò di dire ad alta voce, “è in arrivo una bella tempesta”.

I commensali accanto a lui lo fissarono accigliati.

“Ma che stai dicendo, non c’è una nuvola in cielo”, dissero, ignoranti del fatto che si stesse riferendo ai suoi prossimi fenomeni di meteorismo.

Ad ogni modo, il caso (o il fato) volle che il vento cambiasse direzione ed una tempesta si abbattesse, letteralmente, sul villaggio.

Da quel momento decisero che egli sarebbe stato il loro veggente.

Veniva consultato per i motivi più svariati e perlopiù inutili ed egli si era specializzato nelle risposte vaghe, talvolta finanche contraddittorie, ma utili a far sì che l’interlocutore traesse dai suoi sproloqui ciò che, alla fin fine, voleva sentirsi dire.

Ma quel giorno, dinanzi al fuoco e alle ossa, la questione era tremendamente seria.

Roma era sempre più vicina alle loro terre.

E le voci circolavano in fretta: l’esercito romano era ben organizzato e la sua brama di conquista risaputa.

Il capo del villaggio si era pertanto recato presso di lui insieme ai capi degli insediamenti limitrofi in cerca di consiglio.

Che fare, arrendersi nella speranza di essere lasciati in pace, pagando magari qualche dazio, oppure combattere per mantenere la propria libertà?

“Ebbene, veggente, vedi nient’altro?”.

“Vedo delle ossa e…”, aprì gli occhi e fissò nuovamente il mucchietto che aveva davanti, “altre ossa”.

“Ossa e altre ossa…”, sussurrò il capo villaggio meditabondo, “i resti di una battaglia! Quindi… stai dicendo che dobbiamo armarci contro gli invasori!”.

“No no, non lo dico io”, si affrettò a dire il veggente agitando le mani in segno di diniego, “lo dicono le ossa”.

“Sì ed è quello che pensavo anch’io”, disse il capo villaggio, “non possiamo indugiare. Dobbiamo combattere”.

Gli altri capi annuirono ed uno di essi interrogò ulteriormente il veggente.

“Veggente, dì, quando dovremo attaccare? Cosa dicono le ossa?”.

Il veggente deglutì ed abbassò nuovamente lo sguardo sui resti del pennuto che aveva bruciato poc’anzi.

Ad una cosa era servito quell’incontro, gli aveva dato il pretesto per far ammazzare quella dannata cornacchia che ogni mattina lo svegliava con i suoi starnazzi prima del sorgere del sole.

“Le ossa sono… bianche. Bianche come la… neve?”.

Il pensiero di una guerra lo rendeva irrequieto, quindi fece in modo di rinviarla il più possibile.

“Bisogna attendere l’inverno”, disse quindi col tono più solenne che potesse venirgli.

“Così a lungo?”, domandarono.

“Ecco… Roma è a sud. Fa… caldo laggiù. Non sono abituati al freddo. Raffreddori, malanni di stagione… non gli faranno di certo bene”.

“Sei sempre saggio, veggente”, disse il capo villaggio, “ti ringrazio per le tue parole. Le ossa cosa dicono sui modi? Quale strategia dovremo adottare?”.

“Uno sconto in capo aperto?”, chiese qualcuno.

Il veggente riprese a sudare.

Aveva il terribile timore che potessero infatti portarlo con loro in battaglia per interrogarlo e chiedere consiglio.

“Ecco, perché non… prenderla alla larga”, disse titubante e senza osare alzare lo sguardo.


“Alla larga”, ripeté qualcuno, “coglierli alle spalle, certo! Da dove meno se lo aspettano. Le loro truppe partiranno da Mediolanum e si accamperanno vicino al lago. Noi valicheremo il passo del Vecchio Monte e gli arriveremo alle spalle, tagliandogli così anche la via di fuga verso la città ed, allo stesso tempo, impedendo che possano ricevere rifornimenti”.

“E’ deciso!”, disse il capo villaggio alzandosi, “nei prossimi mesi elaboreremo insieme il piano. Veggente, le tue parole sono sempre di ispirazione”.

Il veggente scosse il capo fingendo noncuranza ed avvicinò le mani verso le braci.

Passata l’emozione, tutto sudato, cominciava ad avere un po’ freddino.

“Un’ultima domanda. Che raccolto avremo quest’anno?”.

Il veggente strabuzzò gli occhi.

C’era poco da disquisire, o buono o cattivo, cinquanta e cinquanta.

Fissò le ossa con gli occhi spalancati.

“Ecco… ecco sì, eh… vedo…”.

Attraverso le ossa

“Cosa vedi?”.

“Vedo…”.

Il veggente teneva la mano distesa sopra il mucchietto di ossa che aveva dinanzi.

“Vedo delle ossa”.

Il capo villaggio si sporse in avanti verso di lui.

“Vedi altro?”, lo interrogò.

La fronte del veggente era imperlata di sudore.

Immobile, era tuttavia impegnato in uno sforzo notevole.

Lo guardo era lontano, verso luoghi ove a pochi era concesso inoltrarsi.

“Vedo delle ossa ed altre ossa”.

“Nient’altro?”.

Il veggente chiuse gli occhi.

Respirò a fondo e lasciò correre i pensieri.

Essi viaggiarono lungo le trame della realtà, avanti e indietro, avanti e indietro.

Andare avanti era sempre più difficile, riusciva a percepire solamente delle piccole tracce, come degli indizi, poi i pensieri ritornavano nel presente, ma per inerzia finivano sempre per scivolare indietro.

E, in tal modo, rivedeva momenti che erano già stati.

Quella volta tornò al giorno in cui tutto ebbe inizio.

Era seduto nella sala dei banchetti per dei festeggiamenti, non ricordava distintamente la ricorrenza, ma aveva bene in mente la sensazione che all’improvviso lo aveva colto, proprio alla bocca dello stomaco.

“È in arrivo una tempesta”, disse.

I commensali accanto a lui lo fissarono accigliati.

“Non c’è una nuvola in cielo”.

Egli ricambiò lo sguardo.

“Tuttavia, è in arrivo”.

Poco dopo il vento cambiò di direzione ed una tempesta si abbatté sul villaggio.

Da quel momento compresero che egli possedeva il dono di interrogare il fato.

In molti si recavano da lui, in cerca di consiglio e di risposte.

Quel giorno, tuttavia, aveva percepito un’atmosfera grave nell’aria.

Da qualche tempo la minaccia di Roma si era fatta più vicina, come l’ombra che lentamente, ma incessantemente, avanza al calare del giorno.

Il capo del suo villaggio, e quelli degli insediamenti limitrofi, erano da lui convenuti in cerca di consiglio.

Lo interrogavano sul futuro: combattere gli invasori o arrendersi, come molti avevano già fatto?

“Ebbene, veggente, vedi nient’altro?”.

Il veggente aprì gli occhi sulle ossa che aveva dinanzi. Esse erano disposte in modi che, a coloro i quali era concesso riconoscerli, narravano storie, fornivano indizi.

“Vedo delle ossa e…”, si concentrò sul mucchietto che aveva davanti, “altre ossa sopra di esse”.

“Ossa su altre ossa…”, sussurrò il capo villaggio meditabondo, “i resti di una battaglia!”.

Il veggente annuì col capo.

“Dobbiamo dunque armarci e prepararci a combattere”.

“È ciò che dicono le ossa”.

Gli altri capi si dissero d’accordo ed uno di essi interrogò nuovamente il veggente.

“Veggente, dì, quando dovremmo dare battaglia? Cosa dicono le ossa?”.

Il veggente abbassò lo sguardo sui resti del corvo che aveva bruciato poc’anzi.

Lo aveva trovato morto fuori dalla sua tenda e lo aveva interpretato come un segno.

I corvi erano i messaggeri di Wotan, o Odino, come lo chiamavano le genti del Nord.

E, attraverso i suoi resti, avrebbe interrogato il fato.

Le ossa bruciate erano bianche, di un candore che gli ricordava una coltre di neve.

“Si dovrà attendere l’inverno”, disse.

“Così a lungo?”, domandarono.

Il veggente annuì.

“Roma è forte della propria cavalleria, ma la neve sarà di ostacolo a carri e cavalieri e questo verrà a nostro vantaggio. Inoltre i soldati dovranno indossare pesanti pellicce per scaldarsi e questo renderà più difficoltosi e meno agili i loro movimenti. Faranno quindi più fatica nel maneggiare le armi. I nostri uomini, invece, sono abituati a cacciare col freddo. E questo verrà a nostro vantaggio”.

“Sei sempre saggio, veggente”, disse il capo villaggio, “ti ringrazio per le tue parole. Le ossa cosa dicono sui modi? Quale strategia dovremo adottare?”.

“Uno scontro in campo aperto?”, chiese qualcuno.

Il veggente non scrutò le ossa, non ne aveva più bisogno.

“Dovremo portare la battaglia lontano dai villaggi, per tenere al sicuro donne e bambini. La neve può esserci di aiuto, ma anche di ostacolo. Sulla neve le tracce sono facili da seguire, sopratutto quelle di molti uomini quali saremo. Seguendole troverebbero facilmente i nostri accampamenti. No, dovremo raggiungerli da lontano”.

“Da lontano”, ripeté qualcuno, “coglierli alle spalle, certo! Da dove meno se lo aspettano. Le loro truppe partiranno da Mediolanum e si accamperanno vicino al lago. Noi valicheremo il passo del Vecchio Monte e gli arriveremo alle spalle, tagliandogli anche la via di fuga verso la città ed impedendo che ricevano rifornimenti”.

“E’ deciso!”, disse il capo villaggio alzandosi, “nei prossimi mesi elaboreremo insieme il piano. Veggente, le tue parole sono sempre di ispirazione”.

Il veggente fece un lieve inchino col capo e si avvolse nelle pelli.

“Un’ultima domanda. Che raccolto avremo quest’anno?”.

Il veggente allungò la mano sulle ossa, chiuse gli occhi e lasciò che i pensieri vagassero nuovamente lungo le trame del reale.

Avanti e indietro, avanti e indietro.

E, attraverso le ossa, intravide indizi dal tempo che ancora doveva venire.

“Vedo…”.

Il teschio (foto di P.)