La volpina

La volpina sporse il musetto fuori dall’ingresso della tana ed annusò un paio di volte l’aria mentre il sole lentamente si avviava verso il meritato riposo.

Zampettò fuori e mi si mise a correre nel bosco.

Aveva da poco lasciato la vecchia tana in cui nata per cercarsene una sua ed ora stava cominciando a conoscere e a prendere confidenza con il mondo che la circondava.

Amava il suo bosco, i suoi profumi, il suono delle zampe sulle foglie secche, sull’erba, sulla neve.

Attraversare il torrente sentendo l’acqua fredda bagnarle le zampine mentre qualche goccia impertinente le sfiorava i bianchi peli del petto.

Giorno dopo giorno esplorava il territorio intorno alla nuova tana, scoprendo man mano dove poteva trovare i conigli e le lepri, spingendosi talvolta fino ai campi dove si nascondevano i piccoli topolini.

Imparava a fidarsi del suo istinto e, nel contempo, accresceva il suo bagaglio di esperienze.

Aveva appreso, ad esempio, che non poteva fidarsi dei grossi animali che si muovevano su due zampe.

Gli uomini la confondevano e quindi era meglio starsene alla larga.

Li aveva incontrati per la prima volta in un campeggio che si trovava poco fuori dal bosco ed inizialmente li aveva trovati amichevoli.

Una sera era stata avvistata da alcuni campeggiatori e questi avevano preso l’abitudine di lasciarle degli avanzi di cibo vicino alle loro tende.

Lei dapprima si era avvicinata con titubanza, poi aveva capito che non le avrebbero fatto nulla, al che si era tranquillizzata al punto da lasciarsi avvicinare anche mentre mangiava.

Gli uomini erano tutti sorridenti e le scattavano fotografie.

I bambini erano entusiasti e gridavano e ridevano.

Poi, però, il mangiare divenne più scarso, così come erano sempre meno i bambini e gli uomini che andavano a trovarla.

Niente più foto, niente più grida e risate.

Si erano stancati.

Le giornate andavano accorciandosi, finché anche l’ultima auto abbandonò il campeggio.

La volpina dovette quindi riprendere a cercarsi il cibo da sola, ma si era scoperta a fare molta più fatica.

Aveva infatti mangiato molto per settimane, senza fare alcuno sforzo e correndo sempre meno.

Si era appesantita; era più lenta e le lepri e i conigli le sfuggivano.

Una sera decise quindi di cercare nuovamente gli uomini.

Magari le avrebbero dato nuovamente da mangiare.

Si avventurò pertanto oltre il campo dei topini, fino a raggiungere una recinzione oltre la quale vide delle galline.

Erano tante, erano grasse e non si muovevano molto rapidamente.

Scavò un buco sotto la recinzione e riemerse dentro al terreno delle galline.

Al vederla, queste cominciarono a fare un baccano insopportabile, scontrandosi le une contro le altre in una cacofonia di coccodè e piume volanti.

All’improvviso la volpe udì un rumore violentissimo e qualcosa colpì il terreno a qualche centimetro da lei.

Terrorizzata, si guardò intorno finché vide un uomo con un fucile puntato verso di lei.

Un secondo colpo ed il proiettile la sfiorò nuovamente.

In preda al panico corse verso la rete e la seguì radente finché non trovò il buco che aveva scavato.

Lo percorse al contrario e poi fuggì in direzione del bosco, continuando a sentire, sempre più lontane, le grida dell’uomo col fucile.

Quella sera capì che degli uomini era meglio non fidarsi.

Erano troppo scostanti nei suoi riguardi e non sempre avevano buone intenzioni.

Per essere tranquilla, era meglio starne lontana.

Passò qualche settimana senza riuscire a cacciare nessuna preda.

Tuttavia, in questo modo perse il peso accumulato in eccesso e la ripresa della corsa le permise di riguadagnare tono muscolare.

Nel frattempo, per tenersi in forze, si nutriva di bacche e radici.

In breve tempo, tornò in forma e riprese a cacciare le sue solite prede.

Un pomeriggio, sul tardi, uscendo dalla propria tana, decise di esplorare il bosco in una direzione in cui non si era ancora spinta.

Girovagò correndo finché non raggiunse un crinale che risalì fino ad essere inondata dalla luce del tramonto.

La leggera brezza della sera le carezzò il pelo e lei, gongolante, chiuse gli occhi e alzò il musetto per sentire l’aria calda sulla gola.

Rimase lì, serena, per qualche minuto, poi scese dall’altra parte del crinale dove vide una piccola casetta.

Dalla porta uscì un uomo, al che lei si fermò, corse indietro, risalì il crinale e si fermò ad osservarlo distante.

Vide l’uomo guardarla per qualche secondo, dopodiché questi riprese la sua occupazione come se nulla fosse.

Nei giorni seguenti tornò più volte sul crinale a prendere aria ed osservare l’uomo che dava forma agli alberi.

Un giorno, sentendosi particolarmente a suo agio, si avvicinò un poco.

L’uomo la osservò un momento, poi riprese il suo lavoro.

Giorno dopo giorno la volpina si avvicinava sempre di più e l’uomo la lasciava fare.

Sentiva di potersi fidare e continuò ad avvicinarsi, finché un dì l’uomo fece un gesto con la mano e lanciò un grido secco.

La volpe si spaventò ed indietreggiò un poco.

L’uomo, invece, riprese la sua occupazione come se nulla fosse.

Seppur spaventata, la volpe aveva percepito che le grida dell’uomo non erano come quelle di quell’altro col fucile.

Erano più un avvertimento.

“Non ti avvicinare oltre”, sembrava voler dire.

La volpe si assentò per qualche giorno per continuare la sua esplorazione, poi una sera fece ritorno alla casetta oltre il crinale.

Vide l’uomo lavorare e, facendosi coraggio, si avvicinò nuovamente.

L’uomo la lasciò fare fino a quando non si trovò più o meno alla stessa distanza raggiunta la volta precedente.

A quel punto si ripeté la medesima scena: l’uomo fece un gesto con la mano e gridò qualcosa, ma sempre senza cattiveria.

La volpe aveva capito che quell’uomo non era come gli altri.

Tollerava la sua presenza, ma aveva bisogno del suo spazio.

Un po’ come lei insomma.

Riprese il suo esplorare e, dopo qualche mese, il bosco non aveva più segreti per lei.

Sapeva dove andare a cacciare, sapeva quali sentieri erano battuti dagli uomini e quindi era meglio evitare, sapeva in quali zone del torrente poteva andare a farsi un bagno.

Ogni tanto, però, le piaceva tornare dall’uomo della casetta oltre il crinale e lì si accucciava a guardarlo lavorare, tenendosi sempre alla distanza alla quale lui non gridava.

L’uomo vide avvicinarsi la volpina e, sotto la folta barba, si trovò a sorridere.

Era da un po’ che non la vedeva.

Quella sera stava intagliando un pezzo di legno per farne uno gnomo.

La volpina si accucciò a distanza e lo osservava.

Bene, aveva capito.

L’uomo sorrise alla volpe, poi riprese ad intagliare, ma poco dopo si fermò e la guardò nuovamente.

Mise da parte lo gnomo e prese un nuovo pezzo di legno.

Fissò ancora la volpe e si mise ad intagliare.

Aveva deciso di manifestarle il suo affetto a suo modo, ovvero intagliandola in un pezzo di pino.

Lui e la volpe erano simili.

Erano selvatici.

Ripensò alla sua vita.

Anni prima era stato un giovane e promettente alpinista.

Forte, talentuoso, sulle rocce si trovava a proprio agio.

Voleva essere libero e non passare la vita rinchiuso in un ufficio o in un’officina come i suoi amici.

Arrampicava selvaggio e spensierato e quando un famoso sponsor gli propose un contratto non poteva essere più felice.

Lo pagavano per fare quello che amava: scalare, andare per monti ed essere libero.

In breve arrivarono i soldi e la fama.

Troupe lo riprendevano durante le sue scalate e fotografi lo ritraevano mentre affrontava i passaggi più impervi.

Se voleva, arrampicava senza corda.

Se non si sentiva sicuro, si legava, seguendo il suo stato d’animo e cosa gli suggeriva l’istinto.

Un giorno gli dissero di scalare una tal parete perché era estremamente fotogenica ed una foto senza corda in un determinato passaggio sarebbe finita sulla copertina di un sacco di riviste.

Lui non se la sentiva perché conosceva bene quella roccia: era molto friabile e c’era poco da fidarsi senza corda.

Gli risposero che non era un problema, ci sarebbe stata una squadra sopra di lui pronta a passargli la corda appena scattata la foto, ma di tenere presente che, se non se la fosse sentita, altri atleti si erano già resi disponibili.

Di malavoglia fece quel servizio, affrontando slegato tutta la salita per dimostrare che era sempre lui il migliore tra tutti gli atleti del team.

Tuttavia quel giorno, mentre arrampicava, comprese che, anche se era slegato, una corda gliel’avevano comunque messa.

Lo tenevano al guinzaglio con i soldi e la fama.

Resistette ancora qualche mese, finché la sua natura tornò a farsi sentire con forza.

Lui non era quello, lui voleva essere libero.

Di punto in bianco, abbandonò quel mondo.

Si allontanò, trovando rifugio in un vecchio casolare nel bosco vicino al paese dove era cresciuto.

Si mise a tagliare legna e a realizzare piccole sculture che poi vendeva a negozietti di souvenir.

Poco gli bastava per vivere.

E, in questo modo, aveva ripreso a respirare e a sentirsi nuovamente vivo.

Scalava dove, quando e come voleva, secondo le sue regole, seguendo le sue emozioni.

La sera rientrava al casolare e dava forma al legno.

Poi, un giorno, aveva incontrato la volpina.

Gli piaceva la sua compagnia, ma per esperienza aveva compreso che non poteva farla avvicinare troppo, perché in quel modo avrebbe violato la sua – la loro – natura e, senza volerlo, le avrebbe messo un guinzaglio invisibile.

Quindi, quando la volpina si avvicinava troppo, la cacciava dolcemente.

Lui e la volpe erano entrambi selvatici ed era quella distanza, la stessa che li teneva separati, ad unirli.