Il sabato sera

La piccola Susanna già da tempo sospettava che il sabato sera avesse qualcosa di speciale.

Lo aveva intuito dal fatto che molti più giovani si ritrovavano nel bar davanti a casa sua dall’altra parte della strada e dal fatto che il loro vociare si protraeva fino a tarda notte rispetto ai giorni che la mamma chiamava feriali.

E… dalle piante.

Eh sì, le piante che aveva in casa, il sabato sera avevano un comportamento a dir poco sospetto.

Se n’era resa conto proprio un sabato sera, in quanto le piante le erano sembrate più… agitate.

Era ormai un mesetto che la mamma le aveva affidato le piante da innaffiare e lei ogni sera dava loro un po’ di acqua per dissetarsi.

Prendeva la bottiglia dell’acqua vuota, la riempiva con l’acqua del rubinetto e faceva il giro dei quattro vasi che avevano in soggiorno.

Il sabato sera faceva sempre il giro delle piante con la bottiglia, però usava quella del vino, perché il papà lo beveva con la pizza, al posto della birra che gli dava noia.

Doveva essere proprio insopportabile la birra, perché il papà di solito era paziente ed ascoltava tutti con interesse, sopratutto lei quando gli raccontava della scuola.

Ad ogni modo, il sabato sera le piante si comportavano in modo strano, erano più vispe.

Ne aveva avuto conferma proprio la settimana appena passata.

Aveva innaffiato le piante con la bottiglia di vino riempita d’acqua e poi era andata con la mamma e il papà a prendere un gelato.

Avevano lasciato le finestre aperte perché era estate e faceva caldo.

Una volta rientrati le piante erano più verdi e quelle nel vaso sul mobiletto della televisione sembravano rivolte verso quelle sul davanzale accanto alla finestra.

Era un fatto insolito, perché di solito quelle della televisione stavano sempre rivolte verso il basso come se fossero stanche di ascoltarla parlare di continuo di cose noiose.

Il sabato sera invece erano rivolte verso quelle della finestra.

Il papà diceva che stavano parlando tra di loro grazie alla finestra aperta.

Perché le piante, grandi e piccole, parlano attraverso il fruscio, ma per farlo hanno bisogno del vento.

Però anche durante la settimana le finestre la sera erano aperte e quindi era strano che solo il sabato sera si parlassero.

Forse erano euforiche.

Sì, probabilmente erano euforiche, perché il sabato vedevano il papà che beveva dalla bottiglia di vino e poi lo facevano anche loro.

Il sabato sera, sketch di P.

Il Venerdì sera

Il Dr. Montini ne stava uscendo davvero pazzo.

Quell’enigma lo stava esasperando e doveva assolutamente trovare una soluzione al più presto.

Ne andava non solo della sua salute psicofisica, ma anche della sua professionalità.

Luca Montini, fisico dello stato solido, osservava con aria corrucciata lo stereo che aveva di fronte.

Era un apparecchio praticamente nuovo, comprato sei mesi prima, dopo che il precedente aveva tirato le cuoia dopo anni ed anni di onorato servizio rockettaro.

Lo stereo che stava fissando era perfetto.

Aveva impiegato un tempo esagerato a scegliere il modello più adatto alle sue esigenze ed era ancora fermamente convinto del suo acquisto, la cui resa sonora lo entusiasmava ad ogni ascolto.

Unico neo: talvolta lo stereo si accendeva da solo.

Negli ultimi due mesi gli era capitato diverse volte di rientrare a casa dal lavoro e trovare la sua musica preferita ad accoglierlo.

Ora, non che fosse un grosso problema, anzi, era finanche piacevole, tuttavia non trattandosi di un dispositivo dotato di IA non poteva prendere l’iniziativa e decidere lui quando fare partire la musica.

Il povero Luca ne aveva provate di ogni.

Lo aveva smontato, ma non aveva trovato nulla fuori posto.

Lo aveva schermato, sapendo bene quanto i raggi cosmici potessero influire sull’elettronica degli apparecchi di casa.

Niente.

Lo aveva smontato nuovamente, analizzando ogni circuito, ogni resistenza, ogni condensatore, ogni pista.

Aveva passato serate intere davanti all’oscilloscopio, ma nulla, tutto sembrava perfettamente a posto.

Il poveraccio era esasperato.

Va bene, lo stereo era ancora in garanzia, ma lui, proprio lui, che dell’elettronica aveva fatto il suo mestiere, non poteva non riuscire a risolvere quel mistero.

Un angolino remoto del suo cervello cominciava infatti ad essere rosicchiato dal tarlo dell’insicurezza.

Da qualche mese aveva cambiato lavoro, approdando in un’azienda molto più strutturata della precedente e in cui aveva un incarico di maggiore responsabilità come capo laboratorio di analisi.

Lavorava con componenti di ultima generazione, ne scovava i difetti e pensava a soluzioni per migliorarli ed in quel momento era stato messo in ginocchio da un banalissimo stereo.

No, non era solo una questione personale, era anche professionale.

Non osava parlarne al lavoro perché aveva il terrore che uno qualsiasi dei suoi ragazzi potesse trovare la risposta al posto suo, lo smacco sarebbe stato troppo grande, soprattutto perché era arrivato da troppo poco tempo ed aveva ancora molto da dimostrare.

Cercò di concentrarsi e ricominciare con metodo.

Dunque, lo stereo all’inizio aveva sempre funzionato correttamente.

Le bizzarrie erano cominciate poco dopo aver cambiato lavoro.

Sentiva molto di più la responsabilità, certo, quindi la sera dopo cena riprendeva spesso a lavorare e non si gustava più qualche buon album sdraiato sul divano e con un libro in mano.

Se non lavorava, andava a correre, in quanto si stava preparando per una corsa in montagna.

Da pochi mesi si era ripreso da un infortunio ed il mese prima era riuscito ad arrivare primo ad una corsa campestre organizzata in uno dei paesi vicini. Era riuscito a stabilire un nuovo record sulla 26 km, nonostante fosse partito in ritardo perché rimasto chiuso nel bagno degli spogliatoi.

Ad ogni modo, gli venne in testa un pensiero assurdo: forse stava trascurando il suo stereo.

Che sciocchezza.

Scosse la testa e riprese ad analizzare la situazione.

Gli venne il dubbio che l’apparecchio potesse avere un sistema di programmazione che lo faceva accendere ad un determinato orario, come una sveglia, e magari lui lo aveva attivato per caso.

Rilesse quindi tutto il manuale d’uso.

Niente.

Lo stereo non era programmabile.

Quella notte andò a dormire sconsolato.

Il giorno seguente al lavoro fu una giornataccia.

Il suo capo gli diede ulteriori lavori da sbrigare ed erano già indietro con le analisi.

I clienti premevano e loro dovevano buttare fuori i prodotti nuovi.

Stress, sempre più stress.

Mentre tornava a casa in macchina cercava di non pensare al lavoro, ma i problemi continuavano a tornare a galla.

Ad un tratto, squillò il telefono.

Era Gianni, l’amico con cui fino a qualche tempo prima andava in montagna assieme.

Rispose dall’auricolare.

“Ciao Gianni. Come va? Dimmi tutto”.

“Ué bello. Come sta andando il lavoro nuovo?”.

“Lascia perdere. Mi stanno spremendo. Siamo indietro coi test, c’è pressione. Insomma, un casino”.

“Mi sa allora che arrivo a fagiuolo, come si suol dire. Senti un po’, che ne diresti domani di andare a fare il Campaniletto? Così riprendiamo un po’ ad arrampicare. Va bene correre, ma non dimenticare il resto né? Dài, che ne dici?”.

“Non saprei, è un po’ che non arrampico”.

“Appunto, dài, non avresti voglia di riprendere?”.

Luca stava per rispondere che era meglio di no, aveva in testa il lavoro e quasi avrebbe approfittato della calma del sabato mattina per sistemare dei report che aveva arretrati. Poi però il ricordo delle scalate tornò a bussare alla sua mente. Riprovò quelle emozioni, quella paura, quelle soddisfazioni. Sentì il cuore pulsare e qualcosa nella mente che cercava di farsi un varco nella coltre di pensieri e preoccupazioni lavorative: il desiderio di un poco di avventura.

“Gianni, ma sai che ti dico? Va bene cavolo! Oh, vai te da primo né?”.

“Non se ne parla, un tiro a testa. Ottimo, son contentissimo. Passo a prenderti io domattina alle 7.00. Ciao bello, buona serata!”.

Nel frattempo, Luca era arrivato a casa.

Stava ancora pensando alla montagna quando, mentre girava la chiave nella toppa, sentì della musica nel suo appartamento.

Ci risiamo”, pensò, “ma che cavolo”.

Entrato in casa, stava per andare a spegnere lo stereo che andava per conto suo, quando si fermò a pensare.

Meditò sul fatto che negli ultimi mesi tutte le sere erano diventate uguali. Lavorando spesso anche il sabato da casa, non faceva più caso al tempo scandito dai diversi giorni.

Si concentrò e, dopo qualche minuto, realizzò che lo stereo non partiva a caso, ma sempre di Venerdì.

Rimase a fissarlo ed infine pensò che forse, per quanto assurdo, non v’era alcun mistero da risolvere.

Quello stereo, in un modo sì un po’ oscuro, forse voleva semplicemente ricordargli che il Venerdì sera non è una sera come le altre, ma è quel momento che segna il confine oltre il quale i pensieri devono scivolare via per permetterci di tornare a gustarci il tempo e la vita.

Luca non spense lo stereo, con un sorriso si cucinò qualcosa e poi preparò lo zaino per il mattino seguente.

E, dopo tanto tempo, quella sera si ritrovò sul divano a leggere un libro con una birra da parte, mentre i pensieri volavano via trasportati dalle note di Where Eagles Dare dei sempre ottimi Maiden.