Il surfista

“Ma che diavolo sta facendo?”.

“Chi?”.

“Quel tipo là in acqua, quello col costume verde”.

“Quello in piedi in quella posa ridicola?”.

“Eh, proprio lui. Sono venti minuti che è lì in posa come fosse su una tavola da surf, immobile, con gli occhialini e l’acqua che gli arriva alla cintola. Arriva l’onda, lo fa indietreggiare di qualche centimetro e lui torna nella posizione di prima. Arriva l’onda, lo trascina a riva e lui, tic-tic-tic, zampetta per tornare nel punto in cui si trovava”.

“Boh, sarà mica a posto. Comunque oggi il mare è proprio mosso”.

“E’ mosso sì, vacca rana. Io che pensavo di riuscire a fare un po’ di snorkeling. In questa baia ci sono dei pesci veramente interessanti”.

“Eh, ho visto che sei scammellato tutto il nécessaire. Che pesci ci sono?”.

“Non so come si chiamano. Sono piccoli e argentei e si muovono in banchi di circa una ventina di esemplari. Sono tipici di questa zona protetta”.

“Interessante. Ah, guarda il tuo amico, il surfista senza tavola, ogni tanto tenta di immergersi”.

“Sì, sì. Poi torna su nella posizione di prima e sfida fiero le onde”.

“Ah, ah ah, sfida le onde con lo sguardo, come un vero surfista. Peccato che abbia dimenticato a casa la tavola”.

“Oh, poi magari ha davvero dimenticato a casa la tavola e si sta allenando senza. Magari è un surfista professionista”.

“Secondo me è solo mica finito. Guardalo, è un pesce fuor d’acqua. Arriva un’onda più grossa e lo porta via. Guarda, eccola che arriva! Una bella ondona e… ah ah ah, spazzato via! Guarda, ha pure bevuto! Te l’ho detto, è un pesce fuor d’acqua”.

“Eppure guardalo, tic-tic-tic, torna al punto di prima”.

“Un vero lupo di mare”.

“Ah ah, sì però è strano, è come si trascinasse i piedi, senza staccarli dal fondale”.

“Si tiene ancorato, ha paura che il mare lo porti via. Ma senti un po’, niente snorkeling allora?”.

“No. Con questo mare non si vedrà niente. Ogni onda tira su sabbia e non si vede il fondo. È inutile sporcare la maschera per niente. Me ne starò qui a leggere”.

“Anch’io ho portato da leggere. Voglio starmene tranquillo e rilassato a finire il libro senza caos intorno. C’è voluto un po’ ad arrivarci a piedi, ma almeno, a parte il surfista e pochi altri, non c’è praticamente nessuno”.

“Sì, te l’ho detto. Appena ho letto su quel sito che questa è una baia piccola, non servita e difficilmente raggiungibile, se non con una lunga camminata a piedi, ho capito che faceva per noi”.

“Già, d’altronde si va in ferie una volta l’anno e per una volta che non ho intorno gente che rompe di continuo, come in ufficio, me la voglio proprio godere”.

“Parole sante”.

“Oh, il surfista? È sparito?”.

“No, eccolo lì che riemerge. Chissà che diavolo sta facendo”.

Mentre i due amici si interrogavano sul suo bizzarro comportamento, Carlo era impegnato in una vera e propria lotta contro gli elementi.

Anzi, un elemento, che per altro, non era neppure il suo.

Il suo rapporto con l’acqua affondava – letteralmente – le radici nel corso di nuoto fatto in quinta elementare.

L’istruttore li aveva fatti tuffare per recuperare un oggetto sul fondo della vasca, ma quando toccò a Carlo, fu proprio lui ad essere recuperato sul fondo.

Non era un nuotatore provetto, insomma, ma quel giorno si era volontariamente recato in quella caletta sconosciuta perché era l’unica ad avere un fondale roccioso con un particolare tipo di sedimento, introvabile nel resto del territorio delle Balerari.

Carlo, geologo, aveva una passione per le rocce.

Montagne e grotte non avevano segreti per lui.

E, col suo entusiasmo, contagiava anche chi gli stava intorno.

Memorabile il giorno in cui la sua fidanzata, durante una vacanza, si trovò recapitato un pacco in camera.

Eccitatissima, lo aprì con foga, aspettandosi un vestito dal suo innamorato.

Potete quindi immaginare il suo “stupore” quando si ritrovò tra le mani una tuta da speleologia.

“Ho visto un buco nel terreno qui dietro l’albergo”, le disse Carlo ammiccando.

“Nel quale viveva un hobbit…”, risposte sarcastica la fidanzata.

Ad ogni modo, tornando alla nostra storia, l’entusiasta Carlo aveva saputo di quel sedimento e voleva assolutamente prelevare un campione per la sua collezione.

Il problema era che quel particolare strato roccioso si trovava a circa dieci metri dalla spiaggia. Non un grosso problema alle Baleari, dove il mare è poco profondo per decine e decine di metri, ma quel giorno particolare soffiava un vento fortissimo e le onde erano veramente impetuose.

Dannazione”, pensò Carlo, “oggi è l’ultimo giorno utile per recuperare un campione e io non riesco ad immergermi. Dannazione, dopo tutto l’esercizio di ieri!”.

Il giovane geologo aveva passato tutto il giorno precedente nella parte con acqua bassa di una piscina, dove si era esercitato ad immergersi per recuperare oggetti sul fondale, in modo da essere pronto per prelevare il suo campione e, in fondo in fondo, riscattare anche sé stesso dalla magra figura fatta in quinta elementare.

Intendiamoci, per “immergersi”, stiamo parlando di una profondità di 110 cm, che però per Carlo era già ragguardevole.

Infilare la testa sott’acqua, insomma, era di per sé una conquista.

Dopo ore di prove era riuscito ad acquisire una certa abilità: riusciva a tuffarsi (da fermo), spingersi con le gambe sul fondo, recuperare una moneta con le mani e tornare in superficie.

Si era preparato meticolosamente, insomma, ma non aveva fatto i conti con il mare mosso.

Le onde gli impedivano di stare sott’acqua.

Ogni ondata, oltre a spostarlo dalla sua posizione, smuoveva sabbia dal fondale, impedendogli quindi di ritrovare immediatamente il punto in cui affiorava il sedimento.

Era una lotta impari, uomo contro il mare, ma mentre il mare “era” il suo elemento, Carlo era un pesce fuor d’acqua.

Dannazione”, pensò nuovamente, “non mi resta molto tempo, tra poco dovrò rientrare in albergo. Ma come faccio a prendere un sasso se non vedo niente? Va beh, a mali estremi, estremi rimedi!”.

Il giovane si era dapprima imposto di recuperare il suo campione immergendosi come aveva provato e riprovato il dì seguente, riscattando così il suo onore oltre che il suo premio.

Ma, di fronte alla furia del mare, decise di adottare un’altra strategia.

Bene”, pensò, “se non posso vedere, posso pur sempre ‘toccare’”.

In quel frangente Carlo scavò quindi dentro sé stesso, ritrovando, sepolto nel profondo, il primate ancora presente in lui.

Chiuse le dita dei piedi sulla sabbia, in modo da rimanervi aggrappato.

Ma la prima ondata gli fece capire che era una mossa inutile, anzi, controproducente, in quanto smuoveva ancora più sabbia.

Impossibilitato a vedere il fondale cominciò a tastarlo col piede destro, mentre col sinistro si bilanciava, assumendo quella caratteristica posa da “surfista” che aveva attirato l’attenzione dei due amici sulla spiaggia.

La sua lotta con il mare durò circa mezz’ora.

Mezz’ora in cui lui raggiungeva il piccolo affioramento roccioso che gli interessava, vi si aggrappava con un piede, tastando poi intorno in cerca di rocce o sassi da prelevare.

Poi arrivava un’onda, lo ributtava indietro e ricominciava la scena.

Alla fine però la fortuna (o il mare) volle premiare la tenacia di Carlo.

Col piede destro afferrò un sasso, alzò la gamba e lo prese nella mano sinistra.

Mentre era su una gamba sola, un’ondata lo proiettò a riva.

Riemerse dai flutti come un eroe antico, ma sputando acqua e tossendo come un fumatore incallito.

Tornò al suo asciugamano passando davanti ai due amici che, nel frattempo, non avevano smesso di ammirarne le gesta.

“Ué giovane! Italiano? Sì? Eh, che tempaccio oggi, mattinata infruttuosa in mare né?”.

“Non direi proprio”, rispose Carlo mostrando il suo trofeo.

“Un sasso? Ossignore… Geologo?”.

“Vulcanologo per la precisione”, rispose Carlo.

Lo “spiegone” che seguì durò circa quaranta minuti.

In quel lasso di tempo Carlo illustrò come le rocce siano “magiche”, nel senso che ci parlano e raccontano storie dei tempi passati.

Tutte le pietre hanno una storia da raccontare.

Alcune sono arrivate dallo spazio, altre sono nate in fondo al mare ed ora sono in cima alle montagne, altre ancora sono nate dal fuoco dei vulcani, etc…”.

“Insomma”, si congedò Carlo, “c’è una storia per ogni pietra. Se volete saperne di più potete visitare il mio blog. L’indirizzo lo trovate sulla mia pagina dell’università. Adios!”.

“Adios!”, risposero in coro i due amici.

“Ué Gianni, hai sentito? Le pietre parlano”.

“A quanto pare…”.

“Chissà cosa dice quella roccia. E quella? E quella? E quella?”.

“Senti Mario, facciamo un bel mestiere, andiamo a berci un gin tonic al bar dell’albergo. Ero venuto qui per stare tranquillo, ma…”.

Gianni guardò la spiaggia rocciosa in cui si trovavano, “qui è pieno di chiacchieroni. Vamonos!”.